I sei giorni che sconvolsero il mondo. La crisi dei missili di Cuba e le sue percezioni internazionali (2014) by Leonardo Campus

I sei giorni che sconvolsero il mondo. La crisi dei missili di Cuba e le sue percezioni internazionali (2014) by Leonardo Campus

autore:Leonardo Campus [Campus, Leonardo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori Education


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«Thinking about the unthinkable».

Politologi

Thinking about the unthinkable, pensare all’impensabile: questo il titolo di un fortunato saggio pubblicato proprio nel 1962 dal teorico di strategia militare Herman Kahn. Una delle punte di diamante dell’influente think tank californiano «RAND Corporation», Kahn si proponeva coi suoi studi di elaborare conoscenze, concettualizzazioni e strategie in merito alle nuove realtà politico-militari presentate dall’era nucleare. Considerare piani e strategie in vista dell’eventualità di una guerra termonucleare era un pensiero così spaventoso da venir comunemente evitato, aborrito per un misto di ribrezzo morale ed istinto di sopravvivenza. Ma ciò, argomentava Kahn, non era un approccio produttivo: volenti o nolenti, la realtà richiedeva di fare i conti con quelle nuove eventualità, e dunque era meglio averle concettualizzate abbastanza da saperle gestire ove si presentassero. Anche l’impensabile insomma andava necessariamente pensato. Secondo Kahn, «contrariamente a una credenza diffusa», non era vero che dopo una guerra nucleare «i superstiti invidierebbero i morti»1. Al contrario, «ove siano state prese adeguate preparazioni, sarebbe possibile per noi o i sovietici far fronte a tutti gli effetti di una guerra termonucleare, nel senso di salvare la maggioranza della gente e ripristinare qualcosa di vicino allo standard di vita anteguerra in un tempo relativamente breve»2. Una guerra nucleare combattuta alla luce di conoscenze strategiche avrebbe se non altro aumentato il numero di sopravvissuti rispetto ad una combattuta senza alcuna strategia. E lo stesso sarebbe valso per i tempi di recupero dell’economia nazionale3. C’erano pur sempre delle notevoli differenze – spiegava Kahn con tanto di precise tabelle numeriche progressive – tra una guerra nucleare comportante due piuttosto che quaranta o centosessanta milioni di morti. Si sarebbero avute «tragiche, eppure distinguibili, condizioni di dopoguerra» (Tragic but distinguishable postwar states)4. Anche la guerra nucleare quindi era una realtà che bisognava imparare a conoscere, programmare e (ove necessario) prepararsi a superare. «Una mancanza di competenza in questo settore, più che in qualsiasi altro, potrebbe avere conseguenze disastrose, e non soltanto per noi»5. I suoi critici ribattevano però che tali elaborazioni teoriche rischiavano di rendere di fatto concretamente ancora più probabile lo scoppio di una guerra nucleare. Soprattutto quando esse cominciavano a sostenere che anche le guerre nucleari potessero esser vincibili (winnable nuclear war). Elaborare a tavolino scenari simili non rischiava prima o poi di indurre qualcuno a tradurli in realtà? Considerare come legittimi oggetti di studio corsi d’azione così abominevoli non rischiava di renderli infine politicamente (se non moralmente) accettabili?

Kahn e i suoi, ad ogni modo, andarono avanti con i loro studi. Nel 1960 egli aveva pubblicato On thermonuclear war (Sulla guerra termonucleare: con chiaro riferimento al classico della strategia militare ottocentesca, il Sulla guerra del prussiano Karl von Clausewitz). Nel 1962 uscì poi Thinking about the unthinkable, saggio in cui – analizzando a fondo i concetti e gli strumenti della deterrenza – si teorizzava perfino (seppur con intenti teorici e di paradosso esplicativo, non come concreta proposta politica) la cosiddetta «Doomsday machine», proprio la stessa prospettata nel film Il dottor Stranamore. Letteralmente «macchina del giorno del Giudizio», la



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